Sul sito de l'Unità ho trovato veramente interessante la lettera che un operaio della Fiat ha idealmente inviato all'a.d. Sergio Marchionne. Di sicuro non produrrà maggiori effetti inserirla su questo blog, di certo il dott. Marchionne non leggerà mai quanto contenuto su questo spazio. Ma i tanti che non comprano e non si collegano a l'Unità.it avranno l'opportunità di guardare il mondo anche da un altro punto di vista.
Spero di fare cosa gradita a Massimiliano Cassaro e a l'Unità
Fiat, lettera di un operaio: «Caro Sergio, saremo noi a perdere tutto»
Caro Sergio, Non posso nascondere l’emozione provata quando ho trovato la sua missiva, ho pensato fosse la comunicazione di un nuovo periodo di cassa integrazione e invece era la lettera del «padrone», anzi, chiedo scusa: la lettera di un collega. Ho scoperto che abbiamo anche una cosa in comune, siamo nati entrambi in Italia. Mi trova d’accordo quando dice che ci troviamo in una situazione molto delicata e che molte famiglie sentono di più il peso della crisi. Aggiungerei però che sono le famiglie degli operai, magari quelle monoreddito, a pagare lo scotto maggiore, non la sua famiglia. Io conosco la situazione più da vicino e, a differenza sua, ho molti amici che a causa dei licenziamenti, dei mancati rinnovi contrattuali o della cassa integrazione faticano ad arrivare a fine mese. Ma non sono certo che lei afferri realmente cosa voglia dire.
Quel che è certo è che lei ha centrato il nocciolo della questione: il momento è delicato. Quindi, che si fa? La sua risposta, mi spiace dirlo, non è quella che speravo. Lei sostiene che sia il caso di accettare «le regole del gioco» perché «non l’abbiamo scelte noi». Chissà come sarebbe il nostro mondo se anche Rosa Lee Parks, Martin Luther King, Dante Di Nanni, Nelson Mandela, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Emergency, Medici senza Frontiere e tutti i guerrieri del nonostante che tutti i giorni combattono regole ingiuste e discriminanti, avessero semplicemente chinato la testa, teorizzando che il razzismo, le dittature, la mafia o le guerre fossero semplicemente inevitabili, e che anziché combatterle sarebbe stato meglio assecondarle, adattarsi. La regola che porta al profitto diminuendo i diritti dei lavoratori è una regola ingiusta e nel mio piccolo, io continuerò a crederlo e a oppormi.
Per quel che riguarda Pomigliano, le soluzioni che propone non mi convincono. Aumentare la competitività riducendo il benessere dei lavoratori è una soluzione in cui gli sforzi ricadono sugli operai. Lei saprà meglio di me come gestire un’azienda, però quando parla di «anomalie» a Pomigliano, non posso non pensare che io non conoscerò l'alta finanza, ma probabilmente lei non ha la minima idea di cosa sia realmente, mi passi l’espressione, «faticare».
Non so se lei ha mai avuto la fortuna di entrare in una fonderia. Beh, io ci lavoro da 13 anni e mentre il telegiornale ci raccomanda di non uscire nelle ore più calde, io sono a diretto contatto con l’alluminio fuso e sudo da stare male. Le posso garantire che è già tutto sufficientemente inumano. Costringere dei padri di famiglia ad accettare condizioni di lavoro ulteriormente degradanti, e quel che peggio svilenti della loro dignità di lavoratori, non è una strategia aziendale: è una scappatoia. Ma parliamo ora di cose belle. Mi sono nuovamente emozionato quando nella lettera ci ringrazia per quello che abbiamo fatto dal 2004 ad oggi, d’altronde come lei stesso dice «la forza di un’ organizzazione non arriva da nessuna altra parte se non dalle persone che ci lavorano». Spero di non sembrarle venale se le dico che a una virile stretta di mano avrei preferito il Premio di risultato in busta paga oppure migliori condizioni di lavoro. Oppure poteva concedere il rinnovo del contratto a tutti i ragazzi assunti per due giorni oppure una settimana solo per far fronte ai picchi di produzione, sfruttati con l’illusione di un rinnovo e poi rispediti a casa. Lei dice che ci siete riconoscenti. Ci sono molti modi di dimostrare riconoscenza. Perché se, come pubblicano i giornali, la Fiat ha avuto un utile di 113 milioni di euro, ci viene negato il Premio di produzione? Ma immagino che non sia il momento di chiedere. D’altronde dopo tanti anni ho imparato: quando l’azienda va male non è il momento di chiedere perché i conti vanno male e quando l’azienda guadagna non è il momento di fermarsi a chiedere, è il momento di stringere i denti per continuare a far si che le cose vadano bene.
Lei vuole insegnarci che questa «è una sfida che si vince tutti insieme o tutti insieme si perde». Immagino che comprenda le mie difficoltà a credere che lei, io, i colleghi di Pomigliano e i milioni di operai che dipendono dalle sue decisioni, rischiamo alla pari. Se si perderà noi perderemo, lei invece prenderà il suo panfilo e insieme alla sua liquidazione a svariati zeri veleggerà verso nuovi lidi. Noi tremeremo di paura pensando ai mutui e ai libri dei ragazzi, e accetteremo lavori con trattamenti ancora più più svilenti, perché quello che lei finge di non sapere, caro Sergio, è che quello che impone la Fiat, in Italia, viene poi adottato e imposto da ogni altro grande settore dell’industria.
Spero che queste righe scritte con il cuore non siano il sigillo della mia lettera di licenziamento. Solo negli ultimi tempi ho visto licenziare cinque miei colleghi perché non condividevano l’idea «dell’entità astratta, azienda». Ora chiudo, anche se scriverle è stato bello. Spererei davvero che quando mi chiede se per i miei figli e i miei nipoti vorrei un futuro migliore di questo, guardassimo tutti e due verso lo stesso futuro. Temo invece che il futuro prospettato ai nostri figli sia un futuro fatto di iniquità, di ingiustizia e connotato da una profonda mancanza di umanità. (...) Un futuro in cui si devono accettare le regole, anche se ingiuste, perché non le abbiamo scelte noi. Sappia che non è così, lei può scegliere. Insieme, lei e noi possiamo cambiarle quelle regole, cambiarle davvero, anche se temo che non sia questo il suo obbiettivo (...). A lei le cose vanno già molto bene così. Sappia che non ha il mio appoggio e che continuerò ad impegnarmi perché un altro mondo sia possibile. Buon lavoro anche a lei.
Massimiliano Cassaro
24 luglio 2010
sabato 24 luglio 2010
giovedì 1 luglio 2010
Il fido Angelino e Bossi lingua biforcuta



A pensar male ormai è noto, si commette peccato, ma quasi sempre si ci azzecca. Credo che fosse più o meno questa una delle celebri frasi del divo Giulio (sorrentianamente parlando). Io credo che il progetto di modifica del già impresentabile Lodo Alfano, per salvare il datore di lavoro del proponente (è il suo miglior cliente)il fido Angelino lo abbia costruito in modo che fosse poi emendabile fin dal principio. Solo l'opportunismo politico, in sede di prima stesura, ha fatto sì che fossero apportate le dovute "modifiche" in modo che oggi sia palese lo squilibrio tra organi costituzionali, squilibrio che va assolutamente sanato. Un po' come l'assoluzione di Adriano Sofri, con una sentenza poi definita suicida: si scrive in modo che possa solo essere annullata per poi portare l'affondo finale in sede dibattimentale. Il Lodo del fido Angelino è stato scritto male in un momento in cui era utile scrivere male, poi si emenda (in estate è molto meglio) a proprio piacimento, rendendolo ancora più odioso agli occhi delle persone oneste. Retroattivo non solo per il Presidente della Repubblica ma anche per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per tutti i Ministri, compreso il neo ministro Brancher. Come hanno fatto a non accorgersi della disparità tra organi? Adesso va solo apportata una piccola postilla e il gioco è fatto. Ieri la retroattività era scongiurata per non alimentare le ragioni dell'opposizione. Oggi, a ridosso degli ombrelloni e delle sdraio e con Minzolini al TG1, si agisce e si mette definitivamente in salvo il divonano. Ciliegina sulla torta ci si mette anche la lingua biforcuta di Umberto Bossi (parla in un modo ai comizi e in un altro in Parlamento) a dargli man forte, basta che porti a casa uno straccio di federalismo, al diavolo i costi sociali ed economici. Sono convinto che Bossi se ritenesse la crocifissione del divonano utile a far cassa lo abbandonerebbe immediatamente e si armerebbe di martello e chiodi. La sua storia dimostra che sarebbe capace di agire in tal senso.
Personalmente non mi stipisce più niente, nè mi offende più nulla di ciò che stanno facendo a questo Paese. Mi chiedo: cosa volete per smetterla? Facciamo così: ci consegnamo tutti con un cartello appeso al collo con su scritto: "Bravi, avete vinto". Però poi, dopo, governate. E lo fate per il bene del Paese, quello che va dalle Alpi all'Etna ed ancora più giù. Poi dopo la smettete di dire oggi quel che è noto da 2 anni e che avrebbe meritato ben altri provvedimenti a sostegno delle famiglie e delle imprese. Poi la smettete di abolire tasse dalla porta, per poi farle rientrare dalla finistra dei Comuni e delle Regioni. Poi la smettete di raccontarci la favoletta delle liberalizzazioni per poi scontrarci con la dura realtà delle lobby e delle varie caste che frenano qualsiasi tentativo di maggiore competitività. La smettete con il "nuovo modello di relazioni sindacali", maschera della volontà di abbattere quel poco di opposizione esistente. La smettete di far passare come riforma quella che è macelleria culturale. State sfasciando anche quel poco di buono che la scuola PUBBLICA italiana ha prodotto negli anni. A proposito ministra Gelmini ma lei in quali scuole è andata per partorire idee come quella del maestro prevalente e del tempo pieno che pieno non è, al massimo è un posto tranquillo per fare i compiti del giorno dopo.
Salvatore Cuoco
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