sabato 24 luglio 2010

"Caro Sergio,..." la lettera di un operaio FIAT

Sul sito de l'Unità ho trovato veramente interessante la lettera che un operaio della Fiat ha idealmente inviato all'a.d. Sergio Marchionne. Di sicuro non produrrà maggiori effetti inserirla su questo blog, di certo il dott. Marchionne non leggerà mai quanto contenuto su questo spazio. Ma i tanti che non comprano e non si collegano a l'Unità.it avranno l'opportunità di guardare il mondo anche da un altro punto di vista.
Spero di fare cosa gradita a Massimiliano Cassaro e a l'Unità



Fiat, lettera di un operaio: «Caro Sergio, saremo noi a perdere tutto»


Caro Sergio, Non posso nascondere l’emozione provata quando ho trovato la sua missiva, ho pensato fosse la comunicazione di un nuovo periodo di cassa integrazione e invece era la lettera del «padrone», anzi, chiedo scusa: la lettera di un collega. Ho scoperto che abbiamo anche una cosa in comune, siamo nati entrambi in Italia. Mi trova d’accordo quando dice che ci troviamo in una situazione molto delicata e che molte famiglie sentono di più il peso della crisi. Aggiungerei però che sono le famiglie degli operai, magari quelle monoreddito, a pagare lo scotto maggiore, non la sua famiglia. Io conosco la situazione più da vicino e, a differenza sua, ho molti amici che a causa dei licenziamenti, dei mancati rinnovi contrattuali o della cassa integrazione faticano ad arrivare a fine mese. Ma non sono certo che lei afferri realmente cosa voglia dire.

Quel che è certo è che lei ha centrato il nocciolo della questione: il momento è delicato. Quindi, che si fa? La sua risposta, mi spiace dirlo, non è quella che speravo. Lei sostiene che sia il caso di accettare «le regole del gioco» perché «non l’abbiamo scelte noi». Chissà come sarebbe il nostro mondo se anche Rosa Lee Parks, Martin Luther King, Dante Di Nanni, Nelson Mandela, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Emergency, Medici senza Frontiere e tutti i guerrieri del nonostante che tutti i giorni combattono regole ingiuste e discriminanti, avessero semplicemente chinato la testa, teorizzando che il razzismo, le dittature, la mafia o le guerre fossero semplicemente inevitabili, e che anziché combatterle sarebbe stato meglio assecondarle, adattarsi. La regola che porta al profitto diminuendo i diritti dei lavoratori è una regola ingiusta e nel mio piccolo, io continuerò a crederlo e a oppormi.

Per quel che riguarda Pomigliano, le soluzioni che propone non mi convincono. Aumentare la competitività riducendo il benessere dei lavoratori è una soluzione in cui gli sforzi ricadono sugli operai. Lei saprà meglio di me come gestire un’azienda, però quando parla di «anomalie» a Pomigliano, non posso non pensare che io non conoscerò l'alta finanza, ma probabilmente lei non ha la minima idea di cosa sia realmente, mi passi l’espressione, «faticare».

Non so se lei ha mai avuto la fortuna di entrare in una fonderia. Beh, io ci lavoro da 13 anni e mentre il telegiornale ci raccomanda di non uscire nelle ore più calde, io sono a diretto contatto con l’alluminio fuso e sudo da stare male. Le posso garantire che è già tutto sufficientemente inumano. Costringere dei padri di famiglia ad accettare condizioni di lavoro ulteriormente degradanti, e quel che peggio svilenti della loro dignità di lavoratori, non è una strategia aziendale: è una scappatoia. Ma parliamo ora di cose belle. Mi sono nuovamente emozionato quando nella lettera ci ringrazia per quello che abbiamo fatto dal 2004 ad oggi, d’altronde come lei stesso dice «la forza di un’ organizzazione non arriva da nessuna altra parte se non dalle persone che ci lavorano». Spero di non sembrarle venale se le dico che a una virile stretta di mano avrei preferito il Premio di risultato in busta paga oppure migliori condizioni di lavoro. Oppure poteva concedere il rinnovo del contratto a tutti i ragazzi assunti per due giorni oppure una settimana solo per far fronte ai picchi di produzione, sfruttati con l’illusione di un rinnovo e poi rispediti a casa. Lei dice che ci siete riconoscenti. Ci sono molti modi di dimostrare riconoscenza. Perché se, come pubblicano i giornali, la Fiat ha avuto un utile di 113 milioni di euro, ci viene negato il Premio di produzione? Ma immagino che non sia il momento di chiedere. D’altronde dopo tanti anni ho imparato: quando l’azienda va male non è il momento di chiedere perché i conti vanno male e quando l’azienda guadagna non è il momento di fermarsi a chiedere, è il momento di stringere i denti per continuare a far si che le cose vadano bene.

Lei vuole insegnarci che questa «è una sfida che si vince tutti insieme o tutti insieme si perde». Immagino che comprenda le mie difficoltà a credere che lei, io, i colleghi di Pomigliano e i milioni di operai che dipendono dalle sue decisioni, rischiamo alla pari. Se si perderà noi perderemo, lei invece prenderà il suo panfilo e insieme alla sua liquidazione a svariati zeri veleggerà verso nuovi lidi. Noi tremeremo di paura pensando ai mutui e ai libri dei ragazzi, e accetteremo lavori con trattamenti ancora più più svilenti, perché quello che lei finge di non sapere, caro Sergio, è che quello che impone la Fiat, in Italia, viene poi adottato e imposto da ogni altro grande settore dell’industria.

Spero che queste righe scritte con il cuore non siano il sigillo della mia lettera di licenziamento. Solo negli ultimi tempi ho visto licenziare cinque miei colleghi perché non condividevano l’idea «dell’entità astratta, azienda». Ora chiudo, anche se scriverle è stato bello. Spererei davvero che quando mi chiede se per i miei figli e i miei nipoti vorrei un futuro migliore di questo, guardassimo tutti e due verso lo stesso futuro. Temo invece che il futuro prospettato ai nostri figli sia un futuro fatto di iniquità, di ingiustizia e connotato da una profonda mancanza di umanità. (...) Un futuro in cui si devono accettare le regole, anche se ingiuste, perché non le abbiamo scelte noi. Sappia che non è così, lei può scegliere. Insieme, lei e noi possiamo cambiarle quelle regole, cambiarle davvero, anche se temo che non sia questo il suo obbiettivo (...). A lei le cose vanno già molto bene così. Sappia che non ha il mio appoggio e che continuerò ad impegnarmi perché un altro mondo sia possibile. Buon lavoro anche a lei.

Massimiliano Cassaro
24 luglio 2010

giovedì 1 luglio 2010

Il fido Angelino e Bossi lingua biforcuta




A pensar male ormai è noto, si commette peccato, ma quasi sempre si ci azzecca. Credo che fosse più o meno questa una delle celebri frasi del divo Giulio (sorrentianamente parlando). Io credo che il progetto di modifica del già impresentabile Lodo Alfano, per salvare il datore di lavoro del proponente (è il suo miglior cliente)il fido Angelino lo abbia costruito in modo che fosse poi emendabile fin dal principio. Solo l'opportunismo politico, in sede di prima stesura, ha fatto sì che fossero apportate le dovute "modifiche" in modo che oggi sia palese lo squilibrio tra organi costituzionali, squilibrio che va assolutamente sanato. Un po' come l'assoluzione di Adriano Sofri, con una sentenza poi definita suicida: si scrive in modo che possa solo essere annullata per poi portare l'affondo finale in sede dibattimentale. Il Lodo del fido Angelino è stato scritto male in un momento in cui era utile scrivere male, poi si emenda (in estate è molto meglio) a proprio piacimento, rendendolo ancora più odioso agli occhi delle persone oneste. Retroattivo non solo per il Presidente della Repubblica ma anche per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per tutti i Ministri, compreso il neo ministro Brancher. Come hanno fatto a non accorgersi della disparità tra organi? Adesso va solo apportata una piccola postilla e il gioco è fatto. Ieri la retroattività era scongiurata per non alimentare le ragioni dell'opposizione. Oggi, a ridosso degli ombrelloni e delle sdraio e con Minzolini al TG1, si agisce e si mette definitivamente in salvo il divonano. Ciliegina sulla torta ci si mette anche la lingua biforcuta di Umberto Bossi (parla in un modo ai comizi e in un altro in Parlamento) a dargli man forte, basta che porti a casa uno straccio di federalismo, al diavolo i costi sociali ed economici. Sono convinto che Bossi se ritenesse la crocifissione del divonano utile a far cassa lo abbandonerebbe immediatamente e si armerebbe di martello e chiodi. La sua storia dimostra che sarebbe capace di agire in tal senso.
Personalmente non mi stipisce più niente, nè mi offende più nulla di ciò che stanno facendo a questo Paese. Mi chiedo: cosa volete per smetterla? Facciamo così: ci consegnamo tutti con un cartello appeso al collo con su scritto: "Bravi, avete vinto". Però poi, dopo, governate. E lo fate per il bene del Paese, quello che va dalle Alpi all'Etna ed ancora più giù. Poi dopo la smettete di dire oggi quel che è noto da 2 anni e che avrebbe meritato ben altri provvedimenti a sostegno delle famiglie e delle imprese. Poi la smettete di abolire tasse dalla porta, per poi farle rientrare dalla finistra dei Comuni e delle Regioni. Poi la smettete di raccontarci la favoletta delle liberalizzazioni per poi scontrarci con la dura realtà delle lobby e delle varie caste che frenano qualsiasi tentativo di maggiore competitività. La smettete con il "nuovo modello di relazioni sindacali", maschera della volontà di abbattere quel poco di opposizione esistente. La smettete di far passare come riforma quella che è macelleria culturale. State sfasciando anche quel poco di buono che la scuola PUBBLICA italiana ha prodotto negli anni. A proposito ministra Gelmini ma lei in quali scuole è andata per partorire idee come quella del maestro prevalente e del tempo pieno che pieno non è, al massimo è un posto tranquillo per fare i compiti del giorno dopo.

Salvatore Cuoco

sabato 19 giugno 2010

E' morto il grande Josè Saramago


Adeus José

Venerdì 18 Giugno, José Saramgo è spirato alle 12,30 nella sua casa di Lanzarote, all’età di 87 anni, a seguito di un cedimento multiplo degli organi, dopo una lunga malattia.
Lo scrittore è morto con al suo fianco la famiglia, andandosene in modo sereno e tranquillo.
Fondazione José Saramgo
18 Giugno 2010

Questo il laconico comunicato comparso sul blog di Josè Saramago.

Lo pubblico dopo un silenzio molto lungo perchè ritengo ci abbia lasciato un grande del 900. Di quanto ha scritto il giornale vaticano a proposito della scomparsa di questo grande scrittore mi occuperò al più presto, chiunque lo volesse fare prima si accomodi pure.
Salvatore Cuoco

martedì 6 aprile 2010



Ho ricevuto al mio indirizzo mail questa dichiarazione inviata dal segretario dei DS Bersani a tutti coloro hanno un account sul portale dei DS. L'invito che lo precede chiede di diffonderlo su siti web e blog. Chiamiamola "Dichiarazioni d'intenti all'indomani dei risultati elettorali". La pubblico volentieri per stimolare qualche riflessione.
Salvatore Cuoco

"Il Partito democratico è in piedi. Sentiamo forte in queste ore la delusione per avere perso la guida di alcune regioni, e il Lazio e il Piemonte per una manciata di voti. La delusione è solo in parte attenuata dal fatto che abbiamo conquistato comunque la presidenza di sette tra le tredici regioni in palio: un risultato certamente non scontato alla luce dei rapporti di forza che si sono determinati nelle elezioni più recenti, tenendo conto che le elezioni regionali del 2005 si erano svolte dentro un altro universo politico. Va rimarcato che per la prima volta dopo molto tempo, nel voto di domenica e lunedì scorsi si è verificato un arretramento consistente dei consensi del Popolo delle libertà, solo in parte compensato dalla crescita della Lega; le distanze tra il campo del centrodestra e il campo del centrosinistra sono oggi sensibilmente inferiori rispetto a un anno fa, e quindi pur dentro a elementi di delusione si apre uno spazio per il nostro impegno e per il nostro lavoro.

Tuttavia, dal voto emergono chiaramente alcuni problemi di fondo nel rapporto tra i cittadini italiani e la politica: c’è una disaffezione crescente, che si manifesta come distacco e radicalizzazione, verso una politica che gli elettori percepiscono come lontana dai loro problemi. Una crisi sociale ed economica pesante fa sentire ogni giorno le sue conseguenze sulla vita dei cittadini, senza che dal governo arrivino risposte adeguate alla gravità dei problemi.
Il principale responsabile di questa situazione è il presidente del consiglio; ma è una situazione che interroga anche noi.

La possibilità di cambiare il corso delle cose è legata alla nostra capacità di offrire un’alternativa positiva e credibile, di dare un’altra possibilità agli italiani. Adesso dobbiamo accelerare. Da qui dobbiamo ripartire mettendoci al lavoro per rafforzare il nostro progetto e per dare radicamento a un Partito democratico concepito come una grande forza popolare, presente con continuità ovunque la gente vive e lavora e capace di offrire proposte che abbiano un contenuto sempre più visibile e coerente.

Diversamente, i rischi non solo di disaffezione dell’elettorato ma anche di radicalizzazione e di frammentazione impotente, non potrebbero che diventare più gravi.

Dobbiamo servire il Paese raffigurandoci come un partito fondato sul lavoro, il partito della Costituzione, il partito di una nuova unità della nazione.

Il Partito Democratico è il partito di una nuova centralità e dignità del lavoro dipendente, autonomo, imprenditoriale e della valorizzazione del suo ruolo nella costruzione del futuro del Paese.
È il partito che non accetta che il consenso venga prima delle regole e lavora per istituzioni più moderne rifiutando la chiave populista.
È il partito che dà una risposta innovativa al tema delle autonomie nel quadro di una rinnovata unità nazionale.

Avvieremo insieme un grande piano di lavoro incardinato su questi obiettivi.
È evidente in questo l’importanza del ruolo dei circoli come punto di presenza e di impegno visibile del partito sui territori e come luogo della selezione della nuova classe dirigente della quale abbiamo bisogno.

È pensando a tutto questo che voglio ripetere anche qui che nel Partito democratico c’è spazio, come è nostro costume, per una discussione larga e libera sul dopo elezioni e sulle prospettive del nostro partito, ma non per dibattiti autoreferenziali che potrebbero allontanarci dal senso comune dei nostri concittadini.

Buon lavoro.
Pier Luigi Bersani
Segretario Nazionale del Partito Democratico"

venerdì 26 marzo 2010

Perché andrò a votare

Domenica e Lunedì si vota.
Si decidono i prossimi consigli regionali, provinciali e comunali. Questo sarebbe vero in una situazione di normalità democratica. Non è così. Domenica e Lunedì bisogna dare un segnale di netta inversione di tendenza rispetto alle ultime consultazioni elettorali. Bisogna, con il nostro voto, dare un segno di reazione al torpore che rischia di soffocare irrimediabilmente questo paese. Ma soprattutto va inviato a colui che si sente un sire, il messaggio che le cose stanno in un modo a lui non congeniale. Che sia visibile, con il voto di domenica e lunedi, il viale del tramonto di un uomo e del suo modo di intendere la vita. Bisogna per questo e per tante altre ragioni andare ad esprimere la nostra distanza dal pensiero dominante di ultima generazione.E poi bisogna per questo e per molto altro ancora far si che alla Regione Lazio entri una brava persona quale è Emma Bonino. Oggi le cose che mi uniscono a lei sono di gran lunga più numerose di quelle che ci hanno sempre diviso. Le sue recenti esperienze in campo internazionale sono garanzia di affidabilità. E poi io so che è persona perbene ed onesta. E' persona che sà e può dire dei no, in primis ai suoi alleati. Può dire dei no ai tanti potentati presenti sul territorio regionale, a cominciare dai palazzinari di ultima generazione che sono cloni dei vecchi. Io so che è persona capace di far intendere a tutti che bisogna versare qualche lacrima e qualche goccia di sangue per raggiungere qualche obiettivo comune. Bene comune, un'espressione diventata desueta, fuori moda. Scegliete chiunque possa a vostro parere accompagnare la Bonino in questa avventura, ma fatelo consapevoli del fatto che mai come questa volta si gioca una partita ben più grande delle dimensioni regionali. Si tratta di sbarrare la strada a quanti in queste elezioni cercano la legittimazione definitiva a poter intendere il consenso come il viatico a qualsiasi stravolgimento dei caratteri fondanti (dimenticati da tempo) di questo paese. Sbarrare la strada a quanti ritengono che il rispetto delle regole sia solo una noiosa ed inutile perdita di tempo. A quanti pensano che vincere le elezioni dia diritto a fare "come ci pare e piace". A quanti conoscono solo la prima persona singolare e hanno dimenticato o non sono mai arrivati a pensare alla prima persona plurale.
Per tutto questo e per tutte le vostre di ragioni andiamo a votare.

Salvatore Cuoco

PS. - Chiedo scusa per questo sermone, mi è venuto spontaneo, senza premeditazione. Ne ho avvertito l'esigenza.

lunedì 22 marzo 2010

“Ma mi sta venendo una psicosi o veramente tutte quelle facce che ho visto per video alla manifestazione del berlusca angosciano? Per un motivo o per un altro”.
Ho letto queste parole di un amico su facebook e mi sono tornate in mente quelle, diverse nella forma ma identiche nella sostanza, di un'altra amica due giorni prima.
Allora ripenso alla risposta di un altro amico presente (sì ne ho tanti: splendidi di cuore e di mente) il quale appassionatamente affermava che tutto ciò che di decadente, grottesco, inquietante leggevamo nei rappresentanti della destra italiana, non doveva e non poteva esaurire le critiche severe e intransigenti che dovevamo continuare a rivolgere alla sinistra italiana.
Ricordavamo il bell’intervento di Nichi Vendola del 12 marzo: ma quelle parole erano un inizio? qualcuno le aveva raccolte? dov'era l'elaborazione delle forze politiche di sinistra per un progetto comune e chiaro da offrire ai cittadini?
Aveva ragione lui, convenimmo: se pure la destra mostra segni di basso impero, la sinistra non lancia il cuore oltre l'ostacolo, non ha un progetto condiviso, forte come prospettiva e trasparente come obiettivi e comportamenti conseguenti... e non ha un candidato che rappresenti tutto il centrosinistra capace di integrare il consenso attraverso i programmi”.
Tutto questo mi è tornato in mente oggi, ascoltando un'intervista a Daniel Cohn-Bendit.
"Dany il Rosso" o "Dany il Verde", come lo stampa lo etichetta, con il suo 18% e il 54% della sinistra pluriel, corregge la sua intervistatrice che si congratula con lui per esito delle votazioni dicendo "...non è così la sinistra non ha vinto, perché gli strati più poveri della popolazione non hanno votato e perché è la destra ad aver perso"
E continua “il problema è così: nel 2004 la sinistra ha vinto le regionali, tre anni dopo ha perso le elezioni presidenziali e così succederà di nuovo se non saremo in grado d’immaginare un'altra forma di governare. E' necessaria una piattaforma comune per le prospettive politiche tra verdi e socialisti che oggi non c'è, il problema è che per vincere dobbiamo dare una speranza a questo paese”.
La giornalista poi, delusa che il suo interlocutore non condivide la sua eccitazione per la vittoria, non rinuncia ad una domanda banale e inutile alla luce delle risposte già avute e gli chiede chi vede alla testa delle presidenziali del 2012
“Dany il Rosso” risponde: “non so…” fa una pausa e poi come a riprendere un pensiero precisa “una cosa è sicura: non sarò io”.
Io non conosco abbastanza bene le azioni politiche di Cohn-Bendit e non so se condividerei tutte le sue posizioni però le sue parole mi hanno colpito e ce l’ho messa tutta ma leader di partito in carica che all’indomani di un risultato in crescita oggettiva rispondono con simile lucidità politica e onestà intellettuale non ne ho trovati, salvo Vendola che il centrosinistra non voleva neanche come candidato presidente di regione in Puglia… e credo sia proprio per questo che la piazza lo ha applaudito con tanto calore.
(notazione di colore l’intervista è in italiano
)

mercoledì 27 gennaio 2010

Un benvenuto

Oggi dò il benvenuto a mio figlio Giacomo. Anche lui, se vorrà e quando vorrà, potrà dire la sua. Spero possa rapprentare, anche se parzialmente, "i gggiovani".
Ben arrivato su questo magico isolotto. Fanne buon uso.