Di fianco oggi sul blog trovate alcuni video. Il più interesante, da napoletano quale sono, mi pare quello che ha come protagonista il Direttore di Legambiente della Campania Raffaele Del Giudice. Sò che qualcuno storcerà il naso, ma Legambiente non può essere una volta la bibbia delle bandiere blu assegnate alle nostre coste e faziosa e comunista quando parla di raccolta rifiuti a Napoli, di responsabilità politiche e di mancanza di progettualità. Frequento Napoli spesso e posso assicurare che la sensazione che le cose stiano proprio come denuncia Del Giudice è reale e diffusa, anche tra gli elettori di Mr. B. Certo non mancano le critiche, anche feroci, nei confronti degli amministratiori locali e del Sindaco, ma la disillusione del miracolo dei 58 giorni in cui si è fatto credere di aver risolto il problema è ormai cosa fatta. L'inganno mediatico si manifesta ogni giorno di più, è palese. Spero che lo guardiate con attenzione e poi se volete commentatelo.
Riguardo agli altri video posso solo dire che sono solo tre perchè non sono riuscito a trovare anche quello degli interventi di Di Pietro, Casini e Barbareschi durante la due giorni del voto di fiducia (il 34°) all'agonizzante governo di Mr. B. Sono cosciente che questa selezione è rigorosamente di parte.
Dopo aver visto ed ascoltato che come presidente del consiglio abbiamo il prossimo candidato al Nobel per la Pace, per l'economia e per tutto il resto dello scibile umano, per puro pudore non ho inserito anche quello del superman che risiede tra palazzo Chigi e Via del Plebiscito. Poteva forse essere un momento esilarante in mezzo a tanta drammaticità. Ma proprio non ce l'ho fatta.
Buona visione
Salvatore Cuoco
sabato 2 ottobre 2010
sabato 24 luglio 2010
"Caro Sergio,..." la lettera di un operaio FIAT
Sul sito de l'Unità ho trovato veramente interessante la lettera che un operaio della Fiat ha idealmente inviato all'a.d. Sergio Marchionne. Di sicuro non produrrà maggiori effetti inserirla su questo blog, di certo il dott. Marchionne non leggerà mai quanto contenuto su questo spazio. Ma i tanti che non comprano e non si collegano a l'Unità.it avranno l'opportunità di guardare il mondo anche da un altro punto di vista.
Spero di fare cosa gradita a Massimiliano Cassaro e a l'Unità
Fiat, lettera di un operaio: «Caro Sergio, saremo noi a perdere tutto»
Caro Sergio, Non posso nascondere l’emozione provata quando ho trovato la sua missiva, ho pensato fosse la comunicazione di un nuovo periodo di cassa integrazione e invece era la lettera del «padrone», anzi, chiedo scusa: la lettera di un collega. Ho scoperto che abbiamo anche una cosa in comune, siamo nati entrambi in Italia. Mi trova d’accordo quando dice che ci troviamo in una situazione molto delicata e che molte famiglie sentono di più il peso della crisi. Aggiungerei però che sono le famiglie degli operai, magari quelle monoreddito, a pagare lo scotto maggiore, non la sua famiglia. Io conosco la situazione più da vicino e, a differenza sua, ho molti amici che a causa dei licenziamenti, dei mancati rinnovi contrattuali o della cassa integrazione faticano ad arrivare a fine mese. Ma non sono certo che lei afferri realmente cosa voglia dire.
Quel che è certo è che lei ha centrato il nocciolo della questione: il momento è delicato. Quindi, che si fa? La sua risposta, mi spiace dirlo, non è quella che speravo. Lei sostiene che sia il caso di accettare «le regole del gioco» perché «non l’abbiamo scelte noi». Chissà come sarebbe il nostro mondo se anche Rosa Lee Parks, Martin Luther King, Dante Di Nanni, Nelson Mandela, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Emergency, Medici senza Frontiere e tutti i guerrieri del nonostante che tutti i giorni combattono regole ingiuste e discriminanti, avessero semplicemente chinato la testa, teorizzando che il razzismo, le dittature, la mafia o le guerre fossero semplicemente inevitabili, e che anziché combatterle sarebbe stato meglio assecondarle, adattarsi. La regola che porta al profitto diminuendo i diritti dei lavoratori è una regola ingiusta e nel mio piccolo, io continuerò a crederlo e a oppormi.
Per quel che riguarda Pomigliano, le soluzioni che propone non mi convincono. Aumentare la competitività riducendo il benessere dei lavoratori è una soluzione in cui gli sforzi ricadono sugli operai. Lei saprà meglio di me come gestire un’azienda, però quando parla di «anomalie» a Pomigliano, non posso non pensare che io non conoscerò l'alta finanza, ma probabilmente lei non ha la minima idea di cosa sia realmente, mi passi l’espressione, «faticare».
Non so se lei ha mai avuto la fortuna di entrare in una fonderia. Beh, io ci lavoro da 13 anni e mentre il telegiornale ci raccomanda di non uscire nelle ore più calde, io sono a diretto contatto con l’alluminio fuso e sudo da stare male. Le posso garantire che è già tutto sufficientemente inumano. Costringere dei padri di famiglia ad accettare condizioni di lavoro ulteriormente degradanti, e quel che peggio svilenti della loro dignità di lavoratori, non è una strategia aziendale: è una scappatoia. Ma parliamo ora di cose belle. Mi sono nuovamente emozionato quando nella lettera ci ringrazia per quello che abbiamo fatto dal 2004 ad oggi, d’altronde come lei stesso dice «la forza di un’ organizzazione non arriva da nessuna altra parte se non dalle persone che ci lavorano». Spero di non sembrarle venale se le dico che a una virile stretta di mano avrei preferito il Premio di risultato in busta paga oppure migliori condizioni di lavoro. Oppure poteva concedere il rinnovo del contratto a tutti i ragazzi assunti per due giorni oppure una settimana solo per far fronte ai picchi di produzione, sfruttati con l’illusione di un rinnovo e poi rispediti a casa. Lei dice che ci siete riconoscenti. Ci sono molti modi di dimostrare riconoscenza. Perché se, come pubblicano i giornali, la Fiat ha avuto un utile di 113 milioni di euro, ci viene negato il Premio di produzione? Ma immagino che non sia il momento di chiedere. D’altronde dopo tanti anni ho imparato: quando l’azienda va male non è il momento di chiedere perché i conti vanno male e quando l’azienda guadagna non è il momento di fermarsi a chiedere, è il momento di stringere i denti per continuare a far si che le cose vadano bene.
Lei vuole insegnarci che questa «è una sfida che si vince tutti insieme o tutti insieme si perde». Immagino che comprenda le mie difficoltà a credere che lei, io, i colleghi di Pomigliano e i milioni di operai che dipendono dalle sue decisioni, rischiamo alla pari. Se si perderà noi perderemo, lei invece prenderà il suo panfilo e insieme alla sua liquidazione a svariati zeri veleggerà verso nuovi lidi. Noi tremeremo di paura pensando ai mutui e ai libri dei ragazzi, e accetteremo lavori con trattamenti ancora più più svilenti, perché quello che lei finge di non sapere, caro Sergio, è che quello che impone la Fiat, in Italia, viene poi adottato e imposto da ogni altro grande settore dell’industria.
Spero che queste righe scritte con il cuore non siano il sigillo della mia lettera di licenziamento. Solo negli ultimi tempi ho visto licenziare cinque miei colleghi perché non condividevano l’idea «dell’entità astratta, azienda». Ora chiudo, anche se scriverle è stato bello. Spererei davvero che quando mi chiede se per i miei figli e i miei nipoti vorrei un futuro migliore di questo, guardassimo tutti e due verso lo stesso futuro. Temo invece che il futuro prospettato ai nostri figli sia un futuro fatto di iniquità, di ingiustizia e connotato da una profonda mancanza di umanità. (...) Un futuro in cui si devono accettare le regole, anche se ingiuste, perché non le abbiamo scelte noi. Sappia che non è così, lei può scegliere. Insieme, lei e noi possiamo cambiarle quelle regole, cambiarle davvero, anche se temo che non sia questo il suo obbiettivo (...). A lei le cose vanno già molto bene così. Sappia che non ha il mio appoggio e che continuerò ad impegnarmi perché un altro mondo sia possibile. Buon lavoro anche a lei.
Massimiliano Cassaro
24 luglio 2010
Spero di fare cosa gradita a Massimiliano Cassaro e a l'Unità
Fiat, lettera di un operaio: «Caro Sergio, saremo noi a perdere tutto»
Caro Sergio, Non posso nascondere l’emozione provata quando ho trovato la sua missiva, ho pensato fosse la comunicazione di un nuovo periodo di cassa integrazione e invece era la lettera del «padrone», anzi, chiedo scusa: la lettera di un collega. Ho scoperto che abbiamo anche una cosa in comune, siamo nati entrambi in Italia. Mi trova d’accordo quando dice che ci troviamo in una situazione molto delicata e che molte famiglie sentono di più il peso della crisi. Aggiungerei però che sono le famiglie degli operai, magari quelle monoreddito, a pagare lo scotto maggiore, non la sua famiglia. Io conosco la situazione più da vicino e, a differenza sua, ho molti amici che a causa dei licenziamenti, dei mancati rinnovi contrattuali o della cassa integrazione faticano ad arrivare a fine mese. Ma non sono certo che lei afferri realmente cosa voglia dire.
Quel che è certo è che lei ha centrato il nocciolo della questione: il momento è delicato. Quindi, che si fa? La sua risposta, mi spiace dirlo, non è quella che speravo. Lei sostiene che sia il caso di accettare «le regole del gioco» perché «non l’abbiamo scelte noi». Chissà come sarebbe il nostro mondo se anche Rosa Lee Parks, Martin Luther King, Dante Di Nanni, Nelson Mandela, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Emergency, Medici senza Frontiere e tutti i guerrieri del nonostante che tutti i giorni combattono regole ingiuste e discriminanti, avessero semplicemente chinato la testa, teorizzando che il razzismo, le dittature, la mafia o le guerre fossero semplicemente inevitabili, e che anziché combatterle sarebbe stato meglio assecondarle, adattarsi. La regola che porta al profitto diminuendo i diritti dei lavoratori è una regola ingiusta e nel mio piccolo, io continuerò a crederlo e a oppormi.
Per quel che riguarda Pomigliano, le soluzioni che propone non mi convincono. Aumentare la competitività riducendo il benessere dei lavoratori è una soluzione in cui gli sforzi ricadono sugli operai. Lei saprà meglio di me come gestire un’azienda, però quando parla di «anomalie» a Pomigliano, non posso non pensare che io non conoscerò l'alta finanza, ma probabilmente lei non ha la minima idea di cosa sia realmente, mi passi l’espressione, «faticare».
Non so se lei ha mai avuto la fortuna di entrare in una fonderia. Beh, io ci lavoro da 13 anni e mentre il telegiornale ci raccomanda di non uscire nelle ore più calde, io sono a diretto contatto con l’alluminio fuso e sudo da stare male. Le posso garantire che è già tutto sufficientemente inumano. Costringere dei padri di famiglia ad accettare condizioni di lavoro ulteriormente degradanti, e quel che peggio svilenti della loro dignità di lavoratori, non è una strategia aziendale: è una scappatoia. Ma parliamo ora di cose belle. Mi sono nuovamente emozionato quando nella lettera ci ringrazia per quello che abbiamo fatto dal 2004 ad oggi, d’altronde come lei stesso dice «la forza di un’ organizzazione non arriva da nessuna altra parte se non dalle persone che ci lavorano». Spero di non sembrarle venale se le dico che a una virile stretta di mano avrei preferito il Premio di risultato in busta paga oppure migliori condizioni di lavoro. Oppure poteva concedere il rinnovo del contratto a tutti i ragazzi assunti per due giorni oppure una settimana solo per far fronte ai picchi di produzione, sfruttati con l’illusione di un rinnovo e poi rispediti a casa. Lei dice che ci siete riconoscenti. Ci sono molti modi di dimostrare riconoscenza. Perché se, come pubblicano i giornali, la Fiat ha avuto un utile di 113 milioni di euro, ci viene negato il Premio di produzione? Ma immagino che non sia il momento di chiedere. D’altronde dopo tanti anni ho imparato: quando l’azienda va male non è il momento di chiedere perché i conti vanno male e quando l’azienda guadagna non è il momento di fermarsi a chiedere, è il momento di stringere i denti per continuare a far si che le cose vadano bene.
Lei vuole insegnarci che questa «è una sfida che si vince tutti insieme o tutti insieme si perde». Immagino che comprenda le mie difficoltà a credere che lei, io, i colleghi di Pomigliano e i milioni di operai che dipendono dalle sue decisioni, rischiamo alla pari. Se si perderà noi perderemo, lei invece prenderà il suo panfilo e insieme alla sua liquidazione a svariati zeri veleggerà verso nuovi lidi. Noi tremeremo di paura pensando ai mutui e ai libri dei ragazzi, e accetteremo lavori con trattamenti ancora più più svilenti, perché quello che lei finge di non sapere, caro Sergio, è che quello che impone la Fiat, in Italia, viene poi adottato e imposto da ogni altro grande settore dell’industria.
Spero che queste righe scritte con il cuore non siano il sigillo della mia lettera di licenziamento. Solo negli ultimi tempi ho visto licenziare cinque miei colleghi perché non condividevano l’idea «dell’entità astratta, azienda». Ora chiudo, anche se scriverle è stato bello. Spererei davvero che quando mi chiede se per i miei figli e i miei nipoti vorrei un futuro migliore di questo, guardassimo tutti e due verso lo stesso futuro. Temo invece che il futuro prospettato ai nostri figli sia un futuro fatto di iniquità, di ingiustizia e connotato da una profonda mancanza di umanità. (...) Un futuro in cui si devono accettare le regole, anche se ingiuste, perché non le abbiamo scelte noi. Sappia che non è così, lei può scegliere. Insieme, lei e noi possiamo cambiarle quelle regole, cambiarle davvero, anche se temo che non sia questo il suo obbiettivo (...). A lei le cose vanno già molto bene così. Sappia che non ha il mio appoggio e che continuerò ad impegnarmi perché un altro mondo sia possibile. Buon lavoro anche a lei.
Massimiliano Cassaro
24 luglio 2010
giovedì 1 luglio 2010
Il fido Angelino e Bossi lingua biforcuta



A pensar male ormai è noto, si commette peccato, ma quasi sempre si ci azzecca. Credo che fosse più o meno questa una delle celebri frasi del divo Giulio (sorrentianamente parlando). Io credo che il progetto di modifica del già impresentabile Lodo Alfano, per salvare il datore di lavoro del proponente (è il suo miglior cliente)il fido Angelino lo abbia costruito in modo che fosse poi emendabile fin dal principio. Solo l'opportunismo politico, in sede di prima stesura, ha fatto sì che fossero apportate le dovute "modifiche" in modo che oggi sia palese lo squilibrio tra organi costituzionali, squilibrio che va assolutamente sanato. Un po' come l'assoluzione di Adriano Sofri, con una sentenza poi definita suicida: si scrive in modo che possa solo essere annullata per poi portare l'affondo finale in sede dibattimentale. Il Lodo del fido Angelino è stato scritto male in un momento in cui era utile scrivere male, poi si emenda (in estate è molto meglio) a proprio piacimento, rendendolo ancora più odioso agli occhi delle persone oneste. Retroattivo non solo per il Presidente della Repubblica ma anche per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per tutti i Ministri, compreso il neo ministro Brancher. Come hanno fatto a non accorgersi della disparità tra organi? Adesso va solo apportata una piccola postilla e il gioco è fatto. Ieri la retroattività era scongiurata per non alimentare le ragioni dell'opposizione. Oggi, a ridosso degli ombrelloni e delle sdraio e con Minzolini al TG1, si agisce e si mette definitivamente in salvo il divonano. Ciliegina sulla torta ci si mette anche la lingua biforcuta di Umberto Bossi (parla in un modo ai comizi e in un altro in Parlamento) a dargli man forte, basta che porti a casa uno straccio di federalismo, al diavolo i costi sociali ed economici. Sono convinto che Bossi se ritenesse la crocifissione del divonano utile a far cassa lo abbandonerebbe immediatamente e si armerebbe di martello e chiodi. La sua storia dimostra che sarebbe capace di agire in tal senso.
Personalmente non mi stipisce più niente, nè mi offende più nulla di ciò che stanno facendo a questo Paese. Mi chiedo: cosa volete per smetterla? Facciamo così: ci consegnamo tutti con un cartello appeso al collo con su scritto: "Bravi, avete vinto". Però poi, dopo, governate. E lo fate per il bene del Paese, quello che va dalle Alpi all'Etna ed ancora più giù. Poi dopo la smettete di dire oggi quel che è noto da 2 anni e che avrebbe meritato ben altri provvedimenti a sostegno delle famiglie e delle imprese. Poi la smettete di abolire tasse dalla porta, per poi farle rientrare dalla finistra dei Comuni e delle Regioni. Poi la smettete di raccontarci la favoletta delle liberalizzazioni per poi scontrarci con la dura realtà delle lobby e delle varie caste che frenano qualsiasi tentativo di maggiore competitività. La smettete con il "nuovo modello di relazioni sindacali", maschera della volontà di abbattere quel poco di opposizione esistente. La smettete di far passare come riforma quella che è macelleria culturale. State sfasciando anche quel poco di buono che la scuola PUBBLICA italiana ha prodotto negli anni. A proposito ministra Gelmini ma lei in quali scuole è andata per partorire idee come quella del maestro prevalente e del tempo pieno che pieno non è, al massimo è un posto tranquillo per fare i compiti del giorno dopo.
Salvatore Cuoco
sabato 19 giugno 2010
E' morto il grande Josè Saramago

Adeus José
Venerdì 18 Giugno, José Saramgo è spirato alle 12,30 nella sua casa di Lanzarote, all’età di 87 anni, a seguito di un cedimento multiplo degli organi, dopo una lunga malattia.
Lo scrittore è morto con al suo fianco la famiglia, andandosene in modo sereno e tranquillo.
Fondazione José Saramgo
18 Giugno 2010
Questo il laconico comunicato comparso sul blog di Josè Saramago.
Lo pubblico dopo un silenzio molto lungo perchè ritengo ci abbia lasciato un grande del 900. Di quanto ha scritto il giornale vaticano a proposito della scomparsa di questo grande scrittore mi occuperò al più presto, chiunque lo volesse fare prima si accomodi pure.
Salvatore Cuoco
martedì 6 aprile 2010

Ho ricevuto al mio indirizzo mail questa dichiarazione inviata dal segretario dei DS Bersani a tutti coloro hanno un account sul portale dei DS. L'invito che lo precede chiede di diffonderlo su siti web e blog. Chiamiamola "Dichiarazioni d'intenti all'indomani dei risultati elettorali". La pubblico volentieri per stimolare qualche riflessione.
Salvatore Cuoco
"Il Partito democratico è in piedi. Sentiamo forte in queste ore la delusione per avere perso la guida di alcune regioni, e il Lazio e il Piemonte per una manciata di voti. La delusione è solo in parte attenuata dal fatto che abbiamo conquistato comunque la presidenza di sette tra le tredici regioni in palio: un risultato certamente non scontato alla luce dei rapporti di forza che si sono determinati nelle elezioni più recenti, tenendo conto che le elezioni regionali del 2005 si erano svolte dentro un altro universo politico. Va rimarcato che per la prima volta dopo molto tempo, nel voto di domenica e lunedì scorsi si è verificato un arretramento consistente dei consensi del Popolo delle libertà, solo in parte compensato dalla crescita della Lega; le distanze tra il campo del centrodestra e il campo del centrosinistra sono oggi sensibilmente inferiori rispetto a un anno fa, e quindi pur dentro a elementi di delusione si apre uno spazio per il nostro impegno e per il nostro lavoro.
Tuttavia, dal voto emergono chiaramente alcuni problemi di fondo nel rapporto tra i cittadini italiani e la politica: c’è una disaffezione crescente, che si manifesta come distacco e radicalizzazione, verso una politica che gli elettori percepiscono come lontana dai loro problemi. Una crisi sociale ed economica pesante fa sentire ogni giorno le sue conseguenze sulla vita dei cittadini, senza che dal governo arrivino risposte adeguate alla gravità dei problemi.
Il principale responsabile di questa situazione è il presidente del consiglio; ma è una situazione che interroga anche noi.
La possibilità di cambiare il corso delle cose è legata alla nostra capacità di offrire un’alternativa positiva e credibile, di dare un’altra possibilità agli italiani. Adesso dobbiamo accelerare. Da qui dobbiamo ripartire mettendoci al lavoro per rafforzare il nostro progetto e per dare radicamento a un Partito democratico concepito come una grande forza popolare, presente con continuità ovunque la gente vive e lavora e capace di offrire proposte che abbiano un contenuto sempre più visibile e coerente.
Diversamente, i rischi non solo di disaffezione dell’elettorato ma anche di radicalizzazione e di frammentazione impotente, non potrebbero che diventare più gravi.
Dobbiamo servire il Paese raffigurandoci come un partito fondato sul lavoro, il partito della Costituzione, il partito di una nuova unità della nazione.
Il Partito Democratico è il partito di una nuova centralità e dignità del lavoro dipendente, autonomo, imprenditoriale e della valorizzazione del suo ruolo nella costruzione del futuro del Paese.
È il partito che non accetta che il consenso venga prima delle regole e lavora per istituzioni più moderne rifiutando la chiave populista.
È il partito che dà una risposta innovativa al tema delle autonomie nel quadro di una rinnovata unità nazionale.
Avvieremo insieme un grande piano di lavoro incardinato su questi obiettivi.
È evidente in questo l’importanza del ruolo dei circoli come punto di presenza e di impegno visibile del partito sui territori e come luogo della selezione della nuova classe dirigente della quale abbiamo bisogno.
È pensando a tutto questo che voglio ripetere anche qui che nel Partito democratico c’è spazio, come è nostro costume, per una discussione larga e libera sul dopo elezioni e sulle prospettive del nostro partito, ma non per dibattiti autoreferenziali che potrebbero allontanarci dal senso comune dei nostri concittadini.
Buon lavoro.
Pier Luigi Bersani
Segretario Nazionale del Partito Democratico"
venerdì 26 marzo 2010
Perché andrò a votare
Domenica e Lunedì si vota.
Si decidono i prossimi consigli regionali, provinciali e comunali. Questo sarebbe vero in una situazione di normalità democratica. Non è così. Domenica e Lunedì bisogna dare un segnale di netta inversione di tendenza rispetto alle ultime consultazioni elettorali. Bisogna, con il nostro voto, dare un segno di reazione al torpore che rischia di soffocare irrimediabilmente questo paese. Ma soprattutto va inviato a colui che si sente un sire, il messaggio che le cose stanno in un modo a lui non congeniale. Che sia visibile, con il voto di domenica e lunedi, il viale del tramonto di un uomo e del suo modo di intendere la vita. Bisogna per questo e per tante altre ragioni andare ad esprimere la nostra distanza dal pensiero dominante di ultima generazione.E poi bisogna per questo e per molto altro ancora far si che alla Regione Lazio entri una brava persona quale è Emma Bonino. Oggi le cose che mi uniscono a lei sono di gran lunga più numerose di quelle che ci hanno sempre diviso. Le sue recenti esperienze in campo internazionale sono garanzia di affidabilità. E poi io so che è persona perbene ed onesta. E' persona che sà e può dire dei no, in primis ai suoi alleati. Può dire dei no ai tanti potentati presenti sul territorio regionale, a cominciare dai palazzinari di ultima generazione che sono cloni dei vecchi. Io so che è persona capace di far intendere a tutti che bisogna versare qualche lacrima e qualche goccia di sangue per raggiungere qualche obiettivo comune. Bene comune, un'espressione diventata desueta, fuori moda. Scegliete chiunque possa a vostro parere accompagnare la Bonino in questa avventura, ma fatelo consapevoli del fatto che mai come questa volta si gioca una partita ben più grande delle dimensioni regionali. Si tratta di sbarrare la strada a quanti in queste elezioni cercano la legittimazione definitiva a poter intendere il consenso come il viatico a qualsiasi stravolgimento dei caratteri fondanti (dimenticati da tempo) di questo paese. Sbarrare la strada a quanti ritengono che il rispetto delle regole sia solo una noiosa ed inutile perdita di tempo. A quanti pensano che vincere le elezioni dia diritto a fare "come ci pare e piace". A quanti conoscono solo la prima persona singolare e hanno dimenticato o non sono mai arrivati a pensare alla prima persona plurale.
Per tutto questo e per tutte le vostre di ragioni andiamo a votare.
Salvatore Cuoco
PS. - Chiedo scusa per questo sermone, mi è venuto spontaneo, senza premeditazione. Ne ho avvertito l'esigenza.
Si decidono i prossimi consigli regionali, provinciali e comunali. Questo sarebbe vero in una situazione di normalità democratica. Non è così. Domenica e Lunedì bisogna dare un segnale di netta inversione di tendenza rispetto alle ultime consultazioni elettorali. Bisogna, con il nostro voto, dare un segno di reazione al torpore che rischia di soffocare irrimediabilmente questo paese. Ma soprattutto va inviato a colui che si sente un sire, il messaggio che le cose stanno in un modo a lui non congeniale. Che sia visibile, con il voto di domenica e lunedi, il viale del tramonto di un uomo e del suo modo di intendere la vita. Bisogna per questo e per tante altre ragioni andare ad esprimere la nostra distanza dal pensiero dominante di ultima generazione.E poi bisogna per questo e per molto altro ancora far si che alla Regione Lazio entri una brava persona quale è Emma Bonino. Oggi le cose che mi uniscono a lei sono di gran lunga più numerose di quelle che ci hanno sempre diviso. Le sue recenti esperienze in campo internazionale sono garanzia di affidabilità. E poi io so che è persona perbene ed onesta. E' persona che sà e può dire dei no, in primis ai suoi alleati. Può dire dei no ai tanti potentati presenti sul territorio regionale, a cominciare dai palazzinari di ultima generazione che sono cloni dei vecchi. Io so che è persona capace di far intendere a tutti che bisogna versare qualche lacrima e qualche goccia di sangue per raggiungere qualche obiettivo comune. Bene comune, un'espressione diventata desueta, fuori moda. Scegliete chiunque possa a vostro parere accompagnare la Bonino in questa avventura, ma fatelo consapevoli del fatto che mai come questa volta si gioca una partita ben più grande delle dimensioni regionali. Si tratta di sbarrare la strada a quanti in queste elezioni cercano la legittimazione definitiva a poter intendere il consenso come il viatico a qualsiasi stravolgimento dei caratteri fondanti (dimenticati da tempo) di questo paese. Sbarrare la strada a quanti ritengono che il rispetto delle regole sia solo una noiosa ed inutile perdita di tempo. A quanti pensano che vincere le elezioni dia diritto a fare "come ci pare e piace". A quanti conoscono solo la prima persona singolare e hanno dimenticato o non sono mai arrivati a pensare alla prima persona plurale.
Per tutto questo e per tutte le vostre di ragioni andiamo a votare.
Salvatore Cuoco
PS. - Chiedo scusa per questo sermone, mi è venuto spontaneo, senza premeditazione. Ne ho avvertito l'esigenza.
lunedì 22 marzo 2010
“Ma mi sta venendo una psicosi o veramente tutte quelle facce che ho visto per video alla manifestazione del berlusca angosciano? Per un motivo o per un altro”.
Ho letto queste parole di un amico su facebook e mi sono tornate in mente quelle, diverse nella forma ma identiche nella sostanza, di un'altra amica due giorni prima.
Allora ripenso alla risposta di un altro amico presente (sì ne ho tanti: splendidi di cuore e di mente) il quale appassionatamente affermava che tutto ciò che di decadente, grottesco, inquietante leggevamo nei rappresentanti della destra italiana, non doveva e non poteva esaurire le critiche severe e intransigenti che dovevamo continuare a rivolgere alla sinistra italiana.
Ricordavamo il bell’intervento di Nichi Vendola del 12 marzo: ma quelle parole erano un inizio? qualcuno le aveva raccolte? dov'era l'elaborazione delle forze politiche di sinistra per un progetto comune e chiaro da offrire ai cittadini?
Aveva ragione lui, convenimmo: se pure la destra mostra segni di basso impero, la sinistra non lancia il cuore oltre l'ostacolo, non ha un progetto condiviso, forte come prospettiva e trasparente come obiettivi e comportamenti conseguenti... e non ha un candidato che rappresenti tutto il centrosinistra capace di integrare il consenso attraverso i programmi”.
Tutto questo mi è tornato in mente oggi, ascoltando un'intervista a Daniel Cohn-Bendit.
"Dany il Rosso" o "Dany il Verde", come lo stampa lo etichetta, con il suo 18% e il 54% della sinistra pluriel, corregge la sua intervistatrice che si congratula con lui per esito delle votazioni dicendo "...non è così la sinistra non ha vinto, perché gli strati più poveri della popolazione non hanno votato e perché è la destra ad aver perso"
E continua “il problema è così: nel 2004 la sinistra ha vinto le regionali, tre anni dopo ha perso le elezioni presidenziali e così succederà di nuovo se non saremo in grado d’immaginare un'altra forma di governare. E' necessaria una piattaforma comune per le prospettive politiche tra verdi e socialisti che oggi non c'è, il problema è che per vincere dobbiamo dare una speranza a questo paese”.
La giornalista poi, delusa che il suo interlocutore non condivide la sua eccitazione per la vittoria, non rinuncia ad una domanda banale e inutile alla luce delle risposte già avute e gli chiede chi vede alla testa delle presidenziali del 2012
“Dany il Rosso” risponde: “non so…” fa una pausa e poi come a riprendere un pensiero precisa “una cosa è sicura: non sarò io”.
Io non conosco abbastanza bene le azioni politiche di Cohn-Bendit e non so se condividerei tutte le sue posizioni però le sue parole mi hanno colpito e ce l’ho messa tutta ma leader di partito in carica che all’indomani di un risultato in crescita oggettiva rispondono con simile lucidità politica e onestà intellettuale non ne ho trovati, salvo Vendola che il centrosinistra non voleva neanche come candidato presidente di regione in Puglia… e credo sia proprio per questo che la piazza lo ha applaudito con tanto calore.
(notazione di colore l’intervista è in italiano)
Ho letto queste parole di un amico su facebook e mi sono tornate in mente quelle, diverse nella forma ma identiche nella sostanza, di un'altra amica due giorni prima.
Allora ripenso alla risposta di un altro amico presente (sì ne ho tanti: splendidi di cuore e di mente) il quale appassionatamente affermava che tutto ciò che di decadente, grottesco, inquietante leggevamo nei rappresentanti della destra italiana, non doveva e non poteva esaurire le critiche severe e intransigenti che dovevamo continuare a rivolgere alla sinistra italiana.
Ricordavamo il bell’intervento di Nichi Vendola del 12 marzo: ma quelle parole erano un inizio? qualcuno le aveva raccolte? dov'era l'elaborazione delle forze politiche di sinistra per un progetto comune e chiaro da offrire ai cittadini?
Aveva ragione lui, convenimmo: se pure la destra mostra segni di basso impero, la sinistra non lancia il cuore oltre l'ostacolo, non ha un progetto condiviso, forte come prospettiva e trasparente come obiettivi e comportamenti conseguenti... e non ha un candidato che rappresenti tutto il centrosinistra capace di integrare il consenso attraverso i programmi”.
Tutto questo mi è tornato in mente oggi, ascoltando un'intervista a Daniel Cohn-Bendit.
"Dany il Rosso" o "Dany il Verde", come lo stampa lo etichetta, con il suo 18% e il 54% della sinistra pluriel, corregge la sua intervistatrice che si congratula con lui per esito delle votazioni dicendo "...non è così la sinistra non ha vinto, perché gli strati più poveri della popolazione non hanno votato e perché è la destra ad aver perso"
E continua “il problema è così: nel 2004 la sinistra ha vinto le regionali, tre anni dopo ha perso le elezioni presidenziali e così succederà di nuovo se non saremo in grado d’immaginare un'altra forma di governare. E' necessaria una piattaforma comune per le prospettive politiche tra verdi e socialisti che oggi non c'è, il problema è che per vincere dobbiamo dare una speranza a questo paese”.
La giornalista poi, delusa che il suo interlocutore non condivide la sua eccitazione per la vittoria, non rinuncia ad una domanda banale e inutile alla luce delle risposte già avute e gli chiede chi vede alla testa delle presidenziali del 2012
“Dany il Rosso” risponde: “non so…” fa una pausa e poi come a riprendere un pensiero precisa “una cosa è sicura: non sarò io”.
Io non conosco abbastanza bene le azioni politiche di Cohn-Bendit e non so se condividerei tutte le sue posizioni però le sue parole mi hanno colpito e ce l’ho messa tutta ma leader di partito in carica che all’indomani di un risultato in crescita oggettiva rispondono con simile lucidità politica e onestà intellettuale non ne ho trovati, salvo Vendola che il centrosinistra non voleva neanche come candidato presidente di regione in Puglia… e credo sia proprio per questo che la piazza lo ha applaudito con tanto calore.
(notazione di colore l’intervista è in italiano)
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elezioni politica europa
mercoledì 27 gennaio 2010
Un benvenuto
Oggi dò il benvenuto a mio figlio Giacomo. Anche lui, se vorrà e quando vorrà, potrà dire la sua. Spero possa rapprentare, anche se parzialmente, "i gggiovani".
Ben arrivato su questo magico isolotto. Fanne buon uso.
Ben arrivato su questo magico isolotto. Fanne buon uso.
domenica 24 gennaio 2010
Oggi parliamo di cinema italiano
A natale è tempo di grandi abbuffate, di noiose tombolate e di panettoni di tutti i tipi. Ci sono quelli ricchi di canditi e uvetta, quelli solo con l'uvetta e quelli che hanno solo la forma del panettone. All'interno non trovi niente, solo l'impasto che, per carità, è buono, ma sembra il ciambellone per la colazione la mattina. Ma io ho la cattiva abitudide di non fare colazione e arrivare al pasto di mezza giornata con il solo caffè della mattina. Fatto sta che passate le feste ti ritrovi casa piena di panettoni e devi pur consumarli. A cinema orma è consuetudine far uscire in quei giorni i cosiddetti cinepanettoni. I Natale a.... vattelapesca che gareggiano per gli incassi con l'evento natalizio dei Pieraccioni, che quest'anno ha fatto recitare la sosia di Marilyn Monroe. Insomma fanno a gara a chi la spara più grossa. I Vanzina ormai non sanno più dove andare a girare sempre lo stesso film. Quello che evolve credo sia solo la parolaccia. Per il resto non c'è più niente. I protagonisti (sic) vanno in giro per TV, giornali, settimanali, riviste specializzate ad invitare a portare i soldi al botteghino delle centinaia, migliaia, di sale in cui si proietta la replica dell'anno prima. Il pubblico però accorre in massa e loro sono legittimati a pensare che quello è il prodotto buono per arricchirsi ulteriormente con il solo uso di qualche malaparola. Meno male che non mi guadagno da vivere facendo il critico cinematografico così non sono costretto ad andare anch'io ad assistere a questo macabro rito. Mi posso quindi far bastare quanto sei costretto a vedere in televisione, a leggere sui quotidiani per dire che è brutto cinema. E anche a volerlo vedere come prodotto televisivo con l'anticipazione nelle sale, è brutta televisione.
Quest'anno però qualcuno deve aver fatto notare alla banda Vanzina, che il livello delle parolacce è esagerato. E il figlio d'arte Cristian De Sica, piccato, da qualche parte ha reagito dichiarando che i suoi film "sono nella tradizione della commedia all'italiana", che i Natale a vattelapesca sono i nuovi Pane, amore e fantasia. E che lui può fare teatro solo girando quei film. E tutti quelli che campano solo di teatro? Ma non divaghiamo. Passato il natale sono andato più volte a cinema. A vedere tre film italiani. L'ultimo, scadente, di Verdone; poi il vero erede della tradizione della commedia all'italiana: "La prima cosa bella" di Virzì e infine il capolavoro uscito venerdi scorso e che a Roma è in solo 3 (dico tre) sale "L'Uomo che verrà" di Giorgio Diritti.
Tre esempi di come in Italia si possa fare cinema. Tre modi di farlo con intelligenza, con un pizzico di eleganza e con le idee. Poi possono riuscire o meno. A mio modestissimo parere Verdone deve sforzarsi un po' di più, può fare di più, Virzì confeziona un film che con leggerezza ti racconta le vite della periferia italiana. Con i suoi lati grotteschi, comici e drammatici. Quelle vite di tutti i giorni, nelle quali ti riconosci, le senti sulla pelle. "La prima cosa bella" l'ho trovato proprio un bel film, sono uscito dalla sala contento. Bravo, questa è commedia a parer mio, quella girata nelle strade di Livorno, non di Beverly Hills. Quella dove c'è anche la parolaccia ma perchè fa parte del linguaggio corrente, non è ostentata, recitata come contenuto. Invito Cristian De Sica ad andarlo a vedere così vede in quale altro modo ci si può ispirare a Comencini, a Monicelli. E veniamo a ciò che ho visto ieri sera. Un opera da applauso, come quello che la sala ha timidamente fatto alla fine di tutti i titoli di coda. Merenghetti sul Corriere ha giustamente parlato di capolavoro e lascio a lui l'onere di far capire cosa è un capolavoro. Io non ne sono capace, posso però descrivere l'uscita dalla sala nelle tre proiezioni, ché secondo me da il senso di come il pubblico accoglie, ingoia, si dispondìne a digerirlo, un film. Con l'ultimo di Verdone "Io, loro e Lara" già sui titoli si programmava il continuo della serata. Dove si va a mangiare una pizza, a casa di chi si va a bere il bicchierino finale e altre amenità varie. Un vociare confuso e distratto e intanto i titoli di coda ancora scorrono sullo schermo. Con "La prima cosa bella" si rimane seduti a guardare tra le informazioni finali chi canta quel brano, come si chiama quell'attore o quell'attrice, ci si confronta sul giudizio che ognuno da del film e si arriva per strada ancora a commentare la pellicola appena vista. Sull'ultima scena de "L'uomo che verrà" non ci si muove dalla poltrona. Tutti in religioso silenzio fino alla fine, con i ringraziamenti dell'autore alla Regione Emilia Romagna, a RAI Cinema, alla comunità tal dei tali, ai comuni della zona di Monte Sole (zona montagnosa a pochi Km da Bologna), insomma a tutti. Solo quando si accendono le luci si accenna ad un applauso (cosa insolita per un film) e poi di nuovo tutti in silenzio fino a fuori la sala. Mi ha colpito tutto quel silenzio, l'ho percepito come il massimo rispetto per ciò che era stato rappresentato e per il modo come era stato rappresentato. Solo fuori, per strada senti i commenti. Tutti molto entusiasti, commossi da una ragazzina, Greta Zuccheri Montanari nel ruolo di Martina, assolutamente straordinaria. Maya Sansa (la ricordate in La meglio giuventù?)bravissima, nel ruolo di Lena che in grembo porta l'Uomo che verrà. E via via tutti gli altri. Questo film insieme a quello di Virzì, e perchè no, anche quello di Verdone, rimandato a settembre, dimostrano che in questo paese il cinema si può fare in tanti modi diversi. Commedie, racconti introspettivi, storici, comici, ma sempre con gusto, avendo rispetto per il pubblico, caro Cristian.
Gli Oscar non li ritengo un punto di arrivo ma è innegabile il fascino che tale premio offre alla pellicola. Se l'Accademia non aveva i mezzi per capire Gomorra dell'ottimo Garrone, spero proprio che vada a ripetizione affinchè possa premiare questo di film. Sarebbe un modo per renderlo più visibile. Lo ripeto a Roma è in sole tre (dico tre) sale.
Salvatore Cuoco
Quest'anno però qualcuno deve aver fatto notare alla banda Vanzina, che il livello delle parolacce è esagerato. E il figlio d'arte Cristian De Sica, piccato, da qualche parte ha reagito dichiarando che i suoi film "sono nella tradizione della commedia all'italiana", che i Natale a vattelapesca sono i nuovi Pane, amore e fantasia. E che lui può fare teatro solo girando quei film. E tutti quelli che campano solo di teatro? Ma non divaghiamo. Passato il natale sono andato più volte a cinema. A vedere tre film italiani. L'ultimo, scadente, di Verdone; poi il vero erede della tradizione della commedia all'italiana: "La prima cosa bella" di Virzì e infine il capolavoro uscito venerdi scorso e che a Roma è in solo 3 (dico tre) sale "L'Uomo che verrà" di Giorgio Diritti.
Tre esempi di come in Italia si possa fare cinema. Tre modi di farlo con intelligenza, con un pizzico di eleganza e con le idee. Poi possono riuscire o meno. A mio modestissimo parere Verdone deve sforzarsi un po' di più, può fare di più, Virzì confeziona un film che con leggerezza ti racconta le vite della periferia italiana. Con i suoi lati grotteschi, comici e drammatici. Quelle vite di tutti i giorni, nelle quali ti riconosci, le senti sulla pelle. "La prima cosa bella" l'ho trovato proprio un bel film, sono uscito dalla sala contento. Bravo, questa è commedia a parer mio, quella girata nelle strade di Livorno, non di Beverly Hills. Quella dove c'è anche la parolaccia ma perchè fa parte del linguaggio corrente, non è ostentata, recitata come contenuto. Invito Cristian De Sica ad andarlo a vedere così vede in quale altro modo ci si può ispirare a Comencini, a Monicelli. E veniamo a ciò che ho visto ieri sera. Un opera da applauso, come quello che la sala ha timidamente fatto alla fine di tutti i titoli di coda. Merenghetti sul Corriere ha giustamente parlato di capolavoro e lascio a lui l'onere di far capire cosa è un capolavoro. Io non ne sono capace, posso però descrivere l'uscita dalla sala nelle tre proiezioni, ché secondo me da il senso di come il pubblico accoglie, ingoia, si dispondìne a digerirlo, un film. Con l'ultimo di Verdone "Io, loro e Lara" già sui titoli si programmava il continuo della serata. Dove si va a mangiare una pizza, a casa di chi si va a bere il bicchierino finale e altre amenità varie. Un vociare confuso e distratto e intanto i titoli di coda ancora scorrono sullo schermo. Con "La prima cosa bella" si rimane seduti a guardare tra le informazioni finali chi canta quel brano, come si chiama quell'attore o quell'attrice, ci si confronta sul giudizio che ognuno da del film e si arriva per strada ancora a commentare la pellicola appena vista. Sull'ultima scena de "L'uomo che verrà" non ci si muove dalla poltrona. Tutti in religioso silenzio fino alla fine, con i ringraziamenti dell'autore alla Regione Emilia Romagna, a RAI Cinema, alla comunità tal dei tali, ai comuni della zona di Monte Sole (zona montagnosa a pochi Km da Bologna), insomma a tutti. Solo quando si accendono le luci si accenna ad un applauso (cosa insolita per un film) e poi di nuovo tutti in silenzio fino a fuori la sala. Mi ha colpito tutto quel silenzio, l'ho percepito come il massimo rispetto per ciò che era stato rappresentato e per il modo come era stato rappresentato. Solo fuori, per strada senti i commenti. Tutti molto entusiasti, commossi da una ragazzina, Greta Zuccheri Montanari nel ruolo di Martina, assolutamente straordinaria. Maya Sansa (la ricordate in La meglio giuventù?)bravissima, nel ruolo di Lena che in grembo porta l'Uomo che verrà. E via via tutti gli altri. Questo film insieme a quello di Virzì, e perchè no, anche quello di Verdone, rimandato a settembre, dimostrano che in questo paese il cinema si può fare in tanti modi diversi. Commedie, racconti introspettivi, storici, comici, ma sempre con gusto, avendo rispetto per il pubblico, caro Cristian.
Gli Oscar non li ritengo un punto di arrivo ma è innegabile il fascino che tale premio offre alla pellicola. Se l'Accademia non aveva i mezzi per capire Gomorra dell'ottimo Garrone, spero proprio che vada a ripetizione affinchè possa premiare questo di film. Sarebbe un modo per renderlo più visibile. Lo ripeto a Roma è in sole tre (dico tre) sale.
Salvatore Cuoco
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martedì 19 gennaio 2010
In ricordo del migliorista Napolitano
"Caro Presidente,sono un cittadino che segue con costanza e con rispetto le Sue parole e per me Lei è un punto di riferimento costante.Mi permetta però di non essere d'accordo,questa volta,su quanto da Lei scritto alla famiglia di Bettino Craxi.Voglio rammentare a me stesso e a chi legge queste poche righe,che la politica dovrebbe essere la funzione più nobile da esercitare da parte di chi è stato demandato dai cittadini,nei modi previsti dalla Costituzione, alle più alte cariche dello Stato.Utilizzare la funzione che si ricopre e la politica per atti illeciti e gravi,quale è la corruzione,non trova attenuanti ne tantomeno giustificazioni,seppure queste ultime inserite in un particolare momento "storico".Sono passati solo dieci anni dalla morte di Craxi e mi riesce difficile pensare a lui in una dimensione storica.Penso invece che debba essere ascritto alla dimensione della cronaca e della pessima politica,lasciando alle generazioni future ed agli storici veri un giudizio più compiuto". (Lettore_729715)
Questo è quanto scrive un anonimo lettore del Corriere.it a proposito della lettera inviata da Napolitano alla moglie di Craxi in occasione del decennale della morte. E' quella che mi sembra più ragionevole al di là delle facili imprecazioni che possono venire a chi legge quanto è contenuto in quella missiva. Io, pur apprezzando il lavoro che Napolitano sta facendo dal Quirinale, non mi meraviglio affatto di quanto scrive. Lui è stato sempre molto critico nei confronti di tutti coloro, in primis Enrico Berlinguer, avevano un atteggiamento ostile nei confronti del PSI di Craxi. Tutta l'area cosidetta migliorista era sulle sue posizioni. In occasione del referendum sulla scala mobile Napolitano si defilò perchè non era assolutamente d'accordo con i promotori. Non a caso era considerato l'esponente di maggior spicco della "destra" del PCI. Oggi quella chiesa non esiste più, c'è grande confusione sotto il cielo e anche un moderato illuminato come Napolitano trova normale scrivere di Craxi come di un latitante a cui è stata riservata un'attenzione troppo dura da parte dei giudici. Non c'era niente da dire sui danni economici fatti a questo paese per l'allegria di quel periodo nello spendere e spandere una ricchezza non posseduta. Facendo lievitare costi all'inverosimile e cercando il consenso con lo scambio di favori. Queste responsabilità sono di un'intera classe dirigente e su questo concordiamo ma non è chiamando a rispondere tutti che ci si salva. Intanto tu sei stato preso con le mani nella marmellata e inizia a pagare la tua di parte. Confrontati con i giudici e fa i nomi degli altri complici. (Mancanza questa imitata da un tuo carissimo amico, Mr. B) Fa i nomi di tutti. Porta le dovute prove e smonta un sistema che hai se non altro contribuito a creare con la collaborazione di tanti altri. La fuga altrimenti può essere fraitesa, caro Bettino. Io personalmente ti ricordo come il socialista che aveva una sola ossessione: erodere il consenso non ai democristiani, ai repubblicani, ai socialdemocratici o ai liberali ma a coloro che stavano alla tua sinistra. Fossero anche quelli che avevano decretato che l'ombrello NATO era più sicuro di quello sovietico o che la spinta della rivoluzione d'ottobre si era già da tanto tempo esaurita. Che il mercato era il nuovo dio pagano e che la televisione poteva anche essere a colori.
Salvatore Cuoco
Questo è quanto scrive un anonimo lettore del Corriere.it a proposito della lettera inviata da Napolitano alla moglie di Craxi in occasione del decennale della morte. E' quella che mi sembra più ragionevole al di là delle facili imprecazioni che possono venire a chi legge quanto è contenuto in quella missiva. Io, pur apprezzando il lavoro che Napolitano sta facendo dal Quirinale, non mi meraviglio affatto di quanto scrive. Lui è stato sempre molto critico nei confronti di tutti coloro, in primis Enrico Berlinguer, avevano un atteggiamento ostile nei confronti del PSI di Craxi. Tutta l'area cosidetta migliorista era sulle sue posizioni. In occasione del referendum sulla scala mobile Napolitano si defilò perchè non era assolutamente d'accordo con i promotori. Non a caso era considerato l'esponente di maggior spicco della "destra" del PCI. Oggi quella chiesa non esiste più, c'è grande confusione sotto il cielo e anche un moderato illuminato come Napolitano trova normale scrivere di Craxi come di un latitante a cui è stata riservata un'attenzione troppo dura da parte dei giudici. Non c'era niente da dire sui danni economici fatti a questo paese per l'allegria di quel periodo nello spendere e spandere una ricchezza non posseduta. Facendo lievitare costi all'inverosimile e cercando il consenso con lo scambio di favori. Queste responsabilità sono di un'intera classe dirigente e su questo concordiamo ma non è chiamando a rispondere tutti che ci si salva. Intanto tu sei stato preso con le mani nella marmellata e inizia a pagare la tua di parte. Confrontati con i giudici e fa i nomi degli altri complici. (Mancanza questa imitata da un tuo carissimo amico, Mr. B) Fa i nomi di tutti. Porta le dovute prove e smonta un sistema che hai se non altro contribuito a creare con la collaborazione di tanti altri. La fuga altrimenti può essere fraitesa, caro Bettino. Io personalmente ti ricordo come il socialista che aveva una sola ossessione: erodere il consenso non ai democristiani, ai repubblicani, ai socialdemocratici o ai liberali ma a coloro che stavano alla tua sinistra. Fossero anche quelli che avevano decretato che l'ombrello NATO era più sicuro di quello sovietico o che la spinta della rivoluzione d'ottobre si era già da tanto tempo esaurita. Che il mercato era il nuovo dio pagano e che la televisione poteva anche essere a colori.
Salvatore Cuoco
mercoledì 6 gennaio 2010
A proposito di Casini e le regionali 2010
E' un po' di giorni che non mi reco in edicola. Le feste non sempre mi hanno fatto seguire i telegiornali. E vedo con piacere che continuo a vivere. Ma il troppo è troppo.
Apprendo che Emma Bonino si è autocandidata alla guida della regione Lazio per le prossime ed imminenti Regionali del 2010. Brava. Lo spettacolo offerto dal PD è desolante, la candidatura della destra è stimabile ma improponibile alla mia sia pur criticabile sensibilità politica. Ma ecco che Casini mette gli steccati. "Se questi sono i nomi, noi siamo con la destra". Hai capito dove sta la novità. Mi sarei meravigliato del contrario. Sarei stato colto da stupore se il lucidascarpe vaticanista Casini si fosse comportato diversamente. Se il sempre a posto Pierferdi avesse detto: la Polverini è espressione di uno schieramento a noi lontano. E invece niente colpi di scena, Casini si conferma quello che è: un moderato, anche abbastanza reazionario, che con la laicità, con le libertà individuali e collettive intese in un accezione estensiva, non ha niente e non avrà mai niente a che che fare. Nonostante quel che va prediccando il Dalemone.
Il problema è che l'UDC è un partirto di destra e che se non governa con la destra è solo perchè a Casini non hanno dato il lecca-lecca del gusto che gradiva.
Con questo non dico che le alleanze vadano fatte con l'altro esponente della destra che oggi svolge il ruolo di guastatore del centrosinistra. Quel tal Di Pietro che ogni giorno pratica lo sport attraverso il quale con la sinistra (intesa come mano) cerca motivi per comparire nei titoli dei giornali e dei TG; mentre con la destra (sempre intesa come mano) crea le condizioni affinchè Mr. B governi per i prossimi 20 anni in prima persona o attraverso il suo fido alunno, il divo Giulio new edition.
E mentre si sviluppa tutto ciò la sinistra è inesistente. Sinistra e Libertà si ri-fonda con l'aggiunta (è nata da pochi mesi ed è gia tempo di ri-fondarsi), dei Comunisti non c'è traccia se non nei bilancini dei servizi giornalistici dei Tg RAI o Mediaset, del PD non parlo per quella carità cristiana che non possiedo ma che ora mi torna utile per chiarire un concetto. Tutti tramortiti, tutti avviluppati su se stessi incapaci di reagire, incapaci di pensare dieci, dico dieci, cose da fare, alternative a quelle che farà la Polverivi una volta eletta. Tenendo conto che le ultime due legislature regionali sono state governate dal centrosinistra, non dimenticandolo mai. Quindi con quel pizzico di fantasia che anche in politica non guasta mai. Che sò, lotta ai potentati che da sempre governano la sanità, i trasporti, lo sviluppo urbanistico. Anche a costo di perderla quella stramaledettissima poltrona. Dimostrare cioè che si è realmente alternativi.
L'esercizio del potere quando non è volto al bene comune e collettivo è azione per salvaguardare il presente e per consolidare il potere acquisito in precedenza.
Chiunque metta in discussione questa formula avrà la mia personalissima ed insignificante fiducia.
Salvatore Cuoco
Apprendo che Emma Bonino si è autocandidata alla guida della regione Lazio per le prossime ed imminenti Regionali del 2010. Brava. Lo spettacolo offerto dal PD è desolante, la candidatura della destra è stimabile ma improponibile alla mia sia pur criticabile sensibilità politica. Ma ecco che Casini mette gli steccati. "Se questi sono i nomi, noi siamo con la destra". Hai capito dove sta la novità. Mi sarei meravigliato del contrario. Sarei stato colto da stupore se il lucidascarpe vaticanista Casini si fosse comportato diversamente. Se il sempre a posto Pierferdi avesse detto: la Polverini è espressione di uno schieramento a noi lontano. E invece niente colpi di scena, Casini si conferma quello che è: un moderato, anche abbastanza reazionario, che con la laicità, con le libertà individuali e collettive intese in un accezione estensiva, non ha niente e non avrà mai niente a che che fare. Nonostante quel che va prediccando il Dalemone.
Il problema è che l'UDC è un partirto di destra e che se non governa con la destra è solo perchè a Casini non hanno dato il lecca-lecca del gusto che gradiva.
Con questo non dico che le alleanze vadano fatte con l'altro esponente della destra che oggi svolge il ruolo di guastatore del centrosinistra. Quel tal Di Pietro che ogni giorno pratica lo sport attraverso il quale con la sinistra (intesa come mano) cerca motivi per comparire nei titoli dei giornali e dei TG; mentre con la destra (sempre intesa come mano) crea le condizioni affinchè Mr. B governi per i prossimi 20 anni in prima persona o attraverso il suo fido alunno, il divo Giulio new edition.
E mentre si sviluppa tutto ciò la sinistra è inesistente. Sinistra e Libertà si ri-fonda con l'aggiunta (è nata da pochi mesi ed è gia tempo di ri-fondarsi), dei Comunisti non c'è traccia se non nei bilancini dei servizi giornalistici dei Tg RAI o Mediaset, del PD non parlo per quella carità cristiana che non possiedo ma che ora mi torna utile per chiarire un concetto. Tutti tramortiti, tutti avviluppati su se stessi incapaci di reagire, incapaci di pensare dieci, dico dieci, cose da fare, alternative a quelle che farà la Polverivi una volta eletta. Tenendo conto che le ultime due legislature regionali sono state governate dal centrosinistra, non dimenticandolo mai. Quindi con quel pizzico di fantasia che anche in politica non guasta mai. Che sò, lotta ai potentati che da sempre governano la sanità, i trasporti, lo sviluppo urbanistico. Anche a costo di perderla quella stramaledettissima poltrona. Dimostrare cioè che si è realmente alternativi.
L'esercizio del potere quando non è volto al bene comune e collettivo è azione per salvaguardare il presente e per consolidare il potere acquisito in precedenza.
Chiunque metta in discussione questa formula avrà la mia personalissima ed insignificante fiducia.
Salvatore Cuoco
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